Come è possibile imparare da una sola esperienza

 

 

ROBERTO COLONNA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVI – 21 settembre 2019.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Una parte considerevole della ricerca sulla capacità animale di apprendere, nell’ultimo mezzo secolo, è stata dedicata alla comprensione dei meccanismi molecolari della memoria a breve e lungo termine. Tali studi, per i quali Eric Kandel ha ricevuto il Premio Nobel nel 2000, hanno inaugurato una nuova era nella ricerca neurobiologica sulla cognizione. Ora rimane da colmare la distanza, in termini di sistemi neuronici, tra livello molecolare e livello comportamentale.

Molto si è compreso sul ruolo dell’ippocampo nella nostra specie a partire dagli studi decennali sul paziente di Brenda Milner H. M. che, avendo perso la capacità di formare nuovi ricordi per una lesione ippocampale, continuava a incontrarla e non riconoscerla. Nel tempo, poi, si è cercato di definire i rapporti fra la grande massa di dati ottenuti sulla neurofisiologia delle regioni ippocampali dei roditori e le nozioni emergenti dalla ricerca sull’ippocampo umano. La via da percorrere è ancora lunga, e i progressi che hanno consentito di abbandonare le ingenue compartimentazioni del secolo scorso hanno aperto una finestra su una straordinaria complessità, che richiederà la comprensione dei criteri biologici seguiti dall’evoluzione per decifrare l’intreccio tra morfologia e funzione. Le metodiche elettrofisiologiche consentono di rilevare le variazioni di attività correlate all’efficiente capacità dell’ippocampo di apprendere rapidamente l’informazione in entrata, anche quando deriva da una singola e breve esperienza.

Qui si presenta, in estrema sintesi, uno studio di Wilten Nicola e Claudia Clopath che ha identificato nell’attività elettrica degli interneuroni ippocampali una chiave per la comprensione dei meccanismi che consentono di apprendere anche dopo una singola esposizione ad uno stimolo.

(Wilten Nicola & Claudia Clopath, A diversity of interneurons and Hebbian plasticity facilitate rapid compressible learning in the hippocampus. Nature Neuroscience 22, 1168-1181, 2019).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Bioengineering, Imperial College London, London (Regno Unito).

La storia della ricerca sulle basi ippocampali di memoria e apprendimento si può descrivere come un lungo percorso costellato da frequenti insuccessi e rare ma grandi scoperte, che hanno profondamente inciso sulla conoscenza della neurobiologia della cognizione. Nel 1959 Alden Spencer ed Eric Kandel cercarono di decifrare la codifica delle informazioni sensoriali afferenti ai neuroni dell’ippocampo, effettuando registrazioni di singole cellule nervose contestualmente alla stimolazione di distinti canali sensoriali. I due celebri ricercatori non riuscirono a rilevare neanche una risposta degna di nota, e la ragione di questo insuccesso è efficacemente espressa da Kandel: “Non ci eravamo resi contro che l’ippocampo è implicato nella percezione dell’ambiente e quindi rappresenta delle esperienze multisensoriali”[1].

La mappa ippocampale dello spazio identificata da O’Keefe nel 1971 differiva da quelle sensoriali egocentriche del tatto e della vista identificate da Wade Marshall, Vernon Mountcastle, David Hubel e Tornsten Nils Wiesel, perché indipendente dalle modalità sensoriali e, di fatto, fungente da rappresentazione multisensoriale dello spazio esterno. Era la prima evidenza dell’impiego da parte del cervello, per una perfetta integrazione fra organismo e ambiente, di coordinate allocentriche – ossia centrate sul mondo esterno – accanto agli schemi somatotopici, cosiddetti “egocentrici”. Dopo le cellule di luogo ippocampali di O’Keefe e colleghi, la scoperta dei vari tipi di cellule della corteccia entorinale ha completato la definizione di sistemi neuronici centrati sullo spazio circostante e in grado di fornire automatismi di funzionamento costantemente adattati al luogo e allo spostamento, in un ruolo fisiologico che va molto oltre quello della semplice “bussola”, cui è stato accostato dalla divulgazione.

Nel 1992 Kandel e colleghi cominciarono a studiare la mappa spaziale dell’ippocampo come esempio di struttura mnemonica “oggettiva”, e si prefissero lo scopo di comprendere come tale memoria si costituisce e si conserva, e in che modo l’attenzione possa intervenire in questi processi. In particolare, Eric Kandel era stupito da quanto era stato scoperto da O’Keefe e altri riguardo alla dimensione temporale della formazione della mappa di un nuovo spazio nell’ippocampo dei roditori: dopo l’ingresso in un ambiente predisposto per la sperimentazione, lo sviluppo della mappa ippocampale richiede dai 10 ai 15 minuti. Un lasso di tempo di tale durata suggerisce che la costituzione della mappa richieda un processo di apprendimento e che, durante l’esperienza, avvengano reiterazioni in grado di consolidare la rappresentazione cerebrale, al punto da renderla stabile per settimane o mesi.

Il ruolo dell’ippocampo, anche in questo caso emblematico, è associato a tempi di apprendimento piuttosto lunghi, mentre lo studio di Wilten Nicola e Claudia Clopath è focalizzato sui processi che consentono l’apprendimento rapido dell’informazione in entrata, anche quando si tratta di uno stimolo visivo percepito una sola volta. L’informazione neurale che si produce in questi casi può essere rieseguita in un formato compatto, sia secondo la sequenza originaria sia in modalità inversa, durante il correlato elettrofunzionale delle onde SPW-R (sharp wave-ripples). Gli autori dello studio hanno impiegato le tecniche attuali per il training di reti ad attività ricorrente per dimostrare quattro ruoli distinti delle reti di interneuroni, qui di seguito esposti in estrema sintesi.

1)      Generare sequenze interne di onde a ritmo Theta per legare picchi di potenziali d’azione evocati dall’esterno in presenza di un’inibizione proveniente dal setto mediale.

2)      Comprimere le sequenze di picchi di potenziali d’azione nella forma di onde SPW-R, quando è rimossa l’inibizione settale.

3)      Generare e rifinire raccolte di neuroni con attività ad alta frequenza, durante la compressione mediata dalle onde SPW-R.

4)      Regolare la temporizzazione intervallare SPW tra SPW-R in blocchi di onde “a increspature”.

Dalla scala temporale rapida dei neuroni alla scala temporale lenta del comportamento, le reti di interneuroni inibitori GABA-ergici ippocampali agiscono come un’impalcatura per l’apprendimento immediato che segue ad una singola, breve esperienza (one-shot learning), operando mediante la ripetizione, l’inversione, la rifinitura e la regolazione delle sequenze di picchi.

L’osservazione sperimentale nel suo complesso, per il cui dettaglio si rinvia al testo integrale dell’articolo originale, ha mostrato che diversi tipi di interneuroni e di plasticità hebbiana facilitano lo sviluppo di apprendimento compressibile nell’ippocampo.

La comprensione di questi meccanismi e l’ulteriore approfondimento analitico della loro struttura si basano sull’integrazione di conoscenze derivate da differenti campi di specializzazione della ricerca, secondo la saggia tesaurizzazione dell’esperienza del passato. Infatti, la mappa cellulare ippocampale dell’ambiente era stata scoperta da O’Keefe nel 1971 e il potenziamento a lungo termine (LTP) nell’ippocampo da Bliss e Lomo nel 1973, ma solo nel 1992, dopo circa vent’anni, Robert Muller, Eric Kandel e altri posero in relazione le due scoperte, riuscendo a comprendere che alcune delle attività molecolari responsabili del fenomeno sinaptico LTP erano necessarie per preservare le mappe spaziali nelle cellule dell’ippocampo.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Roberto Colonna

BM&L-21 settembre 2019

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Eric R. Kandel, Alla ricerca della memoria – La storia di una nuova scienza della mente. Le Scienze Codice Edizioni, p. 286, Torino 2008.